REGISTRAZIONE N. 741
DATA DI REGISTRAZIONE
18 ottobre 2023
DENOMINAZIONE
Accademia EFP
RICHIEDENTE
Prof.ssa Erica Francesca Poli
SEDE
Milano
STEMMA
Scudo: accartocciato
Arma: spaccato: nel 1° di porpora, alla fenice posta dentro un tempio, il tutto d'oro; nel 2° di rosso, alla dea Igea al naturale
Cercine: di porpora e di rosso
Cimiero: una rotella di porpora, caricata da una rosa di rosso, il tutto dentro un uroboro di verde
Supporti: due aquile d'oro
Decorazione: due rami di erica alla base dello scudo (uno per parte)
Motti: Ardens ad sidera (sopra) e Nosce te ipsum (sotto)
ORO
L'oro é il più nobile dei due metalli blasonici, e si rappresenta con punteggiamenti nelle stampe e negli intagli. E' simbolo del sole, onde dagli Inglesi Sole venne detto se posto nelle arme dei sovrani, e Topazio se figurante in quelle dei gentiluomini. Alcuni
antichi araldisti contrassegnarono appunto questo smalto col segno zodiacale del sole. Fu contrassegno dei Ghibellini e livrea dei duchi di Lorena. Nei tornei significava ricchezza, amore, onore e nelle bandiere, desiderio di vittoria. Quanto al suo simbolismo se ne conferiscono dei più estesi: la fede, la giustizia, la carità, la temperanza, la clemenza, la nobiltà, lo splendore, la gloria, la felicità, l'amore, la prosperità, la purezza, la gioia, la ricchezza, la generosità, la temperanza. la sapienza, la costanza, il potere, la cavalleria, la gentilezza, la forza, la magnanimità, la longevità e l'eternità sono rappresentate dall'oro.
ROSSO
Il rosso e' stimato da molti il colore più nobile del blasone; i Francesi però gli preferivano l'azzurro, come quello che figurava nell'arma reale. Il rosso si contrassegna con tratteggi perpendicolari, ed il suo segno planetario e' Marte.
Esso rappresenta il fuoco fra gli elementi, il rubino fra le pietre preziose; simboleggia a-more di Dio e del prossimo, verecondia, spargimento di sangue in guerra, desiderio di vendetta, audacia, valore, fortezza, magnanimità, generosità, grandezza, nobiltà cospicua, e dominio. È anche un ricordo dell'Oriente e delle spedizioni d'oltremare, come pure dimostra giustizia, crudeltà e collera. Gli Spagnoli chiamano il campo rosso sangriento, ossia sanguinoso, perche' richiama alla memoria le battaglie sostenute contro i Mori. Un nome analogo lo troviamo in Germania nel blutfahne, vecillum cruentum, campo tutto rosso senza alcuna figura, che indica i diritti di regalia, e si trova nell'armi di Prussia, d'Anhalt, ecc. terpretava in senso di vendetta, di crudeltà, di sdegno, di fierezza. Nelle livree il rosso era segno di giurisdizione e alta nobiltà. I duchi di Borgogna, i re di Spagna, i re di Navarra, i delfini del Viennese lo adottarono per loro colore particolare; in Italia i Ghibellini lo presero come distintivo del partito imperiale. Fu detto anche cinabro, ricco colore, gola, vermiglio, rosea, rubino, marte; e gli Inglesi quest'ultimo nome gli attribuiscono se è posto nelle armi dei sovrani o dei principi, mentre quello che comparisce nel blasone dei nobili chiamano rubino. II rosso blasonico dei Francesi e' detto gueules, dalle gole rosseggianti degli animali, giusta l'avvi-so di Le Feron e di Menage. Il Du cange molto assennatamente giudica che gula si dicesse nella bassa latinità una pelle tinta in rosso, e reca in appoggio la lettera scritta da S. Bernardo all'arcivescovo di Sens.
PORPORA
La porpora dalla maggior parte degli araldisti si considera tanto come colore, quanto come metallo; onde in suo riguardo non ha luogo il divieto generale di porre colore sopra colore o metallo sopra metallo.
E il Colombière stesso, che ci dà quest'ultima definizione , si contraddice dicendo nella sua prima opera che la porpora è composta di rosso e d'azzurro , ed altrove che gli Spagnoli la chiamano una mistion, perchè è prodotta dalla mescolanza dei quattro altri colori. Infine alcuni armeristi presentano la porpora col violetto o col color di rosa.
VERDE
Colore blasonico che negli intagli e nelle stampe si rappresenta con linee diagonali che scendono da destra a sinistra. Esso rappresenta la terra verdeggiante fra gli elementi, lo smeraldo fra le gemme, Venere fra i pianeti, e simboleggia vittoria, onore, cortesia, civiltà, vigore, allegrezza, abbondanza, amore e confermazione d'amicizia. Il Tasso canta: " ... Verde è for di speme" ed i pittori cristiani del medio evo dipingevano in verde la croce del Calvario, come simbolo della redenzione e della speranza. La ragione per cui si fa rappresentare la speranza dal color verde è perchè allude ai campi verdeggianti in primavera che fanno sperare copioso raccolto nell'estate. Questo colore è altresì emblema di coraggio, per cui disse Virgilio "Huic virides ausis animi".
Jeuffroy d'Eschavannes assicura che il verde non è portato nell'armi se non da quelle famiglie che furono alle spedizioni d'oltremare, ma queata opinione sembra troppo azzardata perchè vediamo tale smalto figurare anche in moltissime armi di famiglie che non furono mai alle Crociate. Nei tornei il verde era altresì impiegato nella significazione di speranza; nelle bandiere indica contentezza e risoluzione di combattere. Fu colore particolare ai conti d'Angiò e ai conti di Fiandra, e distintivo dei Ghibellini. Il verde è, dopo la porpora, il colore più raro nelle armi, ove fu introdotto relativamente tardi. Il verde è molto usato nei Paesi Bassi, perchè livrea dei conti di Fiandra. Per la stessa ragione è comune in Picardia, Artois, Hainaut, Cambraisis ed altre provincie francesi un tempo soggette ai Fiamminghi. Il verde si trova altresì abbastanza frequente in Ispagna ed in Sicilia; in ogni altro paese è raro. Giova notare però che quando parliamo della scarsità di arme in cui figura il verde, facciamo eccezione del verde delle piante e delle terrazze, il quale non è uno smalto araldico, ma si comprende nel colore detto al naturale. Gli Inglesi chiamano smeraldo il verde che appare nell'arme dei nobili e venere quello dei principi sovrani. Quanto all'etimologia della parola blasonica francese sinople ecco quanto ci han riferito gli antichi araldisti . Il Colombière la fa derivare dal nome di una creta o bolo, detto Bolus sinopleus che si ritraeva dalle montagne di Sinope nell'Asia Minore, e la cui proprietà era di tingere in verde. Ma si sa che questa creta al contrario era rossa. Terenziano confonde sempre il vermiglio col sinopis, e lo stesso fa Marcello Empirico.
FENICE
Il più celebre fra gli animali favolosi dell'antichità, definito dagli arabi Maloumo l-ismo, majnoùlo l-jismo, cioè creatura di cui si conosce il nome, e s'ignora il corpo, che corrisponderebbe al nostro detto: "Che ci sia ciascun lo dice, Ove sia nessun lo sa". Il primo a darne una descrizione particolare fu Erodoto: "V'è , dice egli, un uccello sacro che si chiama Fenice. Io non l'ho mai visto se non dipinto". Non si vede spesso neppure in Egitto. Gli Eliopolitani dicono ch'esso viene ogni 500 anni, quando suo padre è morto. Se rassomiglia alla pitture che ho veduta, egli è della forma e della grandezza di un'aquila; la sua piuma è dorata e tinta di rosso; ne riferiscono delle cose poco verosimili. Dicono che venendo dall'Arabia nel Tempio del Sole, esso vi porta suo padre coperto di mirra, e che lo sotterra in questo tempio; che per portarlo, esso fa primieramente con della mirra una massa in forma di uovo tanto grossa quanto la può portare, di che prima ne fa prova, che dopo tale esperimento scava siffatta massa e vi mette dentro suo padre che la rende dello stesso peso ch'era innanzi; che la rinchiude con altra mirra e che la porta poi in Egitto nel tempio del Sole. Questa storia fu, con vari abbellimenti, ripetuta e creduta per più di mille anni. Ne parlarono circostanziatamente Antifane, Cheremone, Lucano, Marziale, Mela, Ovidio, Plinio, Seneca e Stazio. Tacito racconta che ne fu vista una in Egitto l'anno 34 dell'era volgare. Il Rabbino Osaja ( 6 ) dice che la ragione per cui la fenice vive si lungo tempo gli è perchè essa fu il solo animale che non mangiasse del frutto vietato del paradiso.
S. Clemente Romano riferisce che l'araba fenice essendo presso a morire si costruisce una pira d'incenso e mirra, vi dà fuoco e vi muore entro. Allorchè la sua carne è corrotta, ne nasce un verme che si nutre dell'umore dell'animale morto, e riveste le penne, divenendo in tal modo una nuova fenice, che è sempre la stessa che spirò sul rogo. Su queste favole si potrebbero dare due interpretazioni . Primieramente si potrebbe supporre che questo uccello fosse il fagiano dorato della Cina o l'uccello di paradiso, sopra il quale, per la sua rarità e per la bellezza delle sue penne, gli antichi avrebbero spacciate mille fole. Ovvero siccome in gr . Pov significa egualmente un palmizio, albero al quale si attribuivano facoltà soprannaturali, specialmente quella di rinascere dalle proprie ceneri quand'era distrutto, è probabile che si equivocasse del nome, e s'inventasse la storia della fenice che altro non sarebbe che un'allusione alla fertilità dei paesi orientali.
Presso gli Egizi era geroglifico dell'anima che sopravvive al corpo e passa in altro, per la teoria della metempsicosi; presso i cristiani sarebbe un simbolo della resurrezione di Cristo. In araldica, che l'adottò come tutte le altre creazioni della fantasia umana, rappresenta la costanza propria dei cuori più nobili e generosi. Nelle imprese è per lo più accompagnata dai motti : Post fata resurgo, Perit ut vivat, Ut in aeternum vivat, Vita mihi mors est, Nemica fiamma amica vita adduce, Dal mismo mi muerte y mi vida, Ex funere foenus, Unica semper avis, etc.
Nelle divise è emblema di castità vedovile, di virtù immortale, di contemplazione, di penitenza e di fama. Nello scudo si pone di profilo, colle ali semistese, sopra un rogo, che si dice immortalità quando è di smalto diverso dall'uccello, e che non si blasona se è dello stesso. La fenice è per lo più riguardante un sole posto nel primo cantone, che simboleggia la gloria a cui aspira il merito; raramente è volante.
ROSA
In araldica dicesi sia stata introdotta nel blasone delle famiglie d'Italia dai Normanni; ma sembra che già la regina dei fiori figurasse nelle imprese di tutti i popoli. Anticamente i giudici tenevano in mano un mazzetto di rose, ed anche il Lord Mayor di Londra giudicava colle rose in mano. Nei tornei la rosa significava freschezza e tenerezza, ma se gialla, era emblema di vergogna.
La rosa dimostra la grazia, la bellezza, l'onore incontaminato, la soavità dei costumi, la magnificenza, la grandezza di nobiltà e il merito conosciuto. È inoltre simbolo del silenzio ( 3 ) , tanto che gli anti- chi ne ponevano una in mano della statua d'Arpocrate , e la dipingevano sulla volta delle stanze per far intendere che le cose ivi u- dite si doveano tacere . La rosa rossa è em- blema dell'amore e della grazia vigorosa ( 4 ) , la rosa bianca d'integrità di costumi . Non tutte le rose però che si trovano nel- l'armi hanno un significato simbolico ; in In- ghilterra molte hanno origine dalla guerra del- le due Rose ( 5 ) ; altre rappresentano le rose d'oro mandate dai Pontefici in dono ai prin- cipi , come son quelle dell ' arma di Grenoble e dei Gherardini di Firenze ( 6 ) . In Inghil- terra è anche brisura del settimo figlio . La rosa è , dopo il giglio , il fiore più co- mune nel blasone ; se ne vede un gran nu- mero nelle arme d'Italia e di Francia , e specialmente nella Sicilia , nel Veneto , nel Piemonte , nella Savoja , nel Lionese , Bresse e Bugey ; altrove è altresì frequente.
AQUILA
Re degli uccelli, compagno di Giove, custode della folgore, insegna temuta un tempo per tutto il mondo, nulla poteva contendere all'aquila il primato sulle figure del blasone. Era anticamente, come tuttora, il simbolo della maestà e della vittoria, della forza e del potere sovrano, sia monarchico, sia popolare, condotta nelle battaglie da Mario ed auspice delle campagne dei Cesari. Dopo aver figurato sugli stendardi di Ciro divenne l'insegna dei Lacedemini, degli Epiroti e dell'Egitto sotto i Tolomei. Si narra che a Romolo, mentre gettava le fondamenta della sua città, essendo apparsa un'aquila, i Romani la presero tra le loro insegne; più particolarmente poi quando gli Etruschi fecero ad essi omaggio d'uno scettro sormontato d' un' aquila d'avorio quale simbolo della sovranità cui si assoggettavano. L' aquila divenne la vera e principale insegna di Roma, allorché Mario abolì tutte le altre per non conservare che questa, e lo fu definitivamente sotto gl' Imperatori.
Nel Medio Evo l'aquila fu particolare emblema della dignità imperiale; e i re di Germania rivestiti di questa la portarono successivamente sulle loro bandiere e sui loro scudi. Ma allorchè essi, cercando un appoggio nei piccoli feudatari e proprietari di terre allodiali contro i grandi vassalli, cominciarono a tributar loro concessioni di titoli e di privilegi, l'aquila passò dallo scudo imperiale ai gentilizii, conservandosi però per qualche tempo nera sul campo d'oro.
L'ambizione dei nobili e le vicende delle fazioni guelfa e ghibellina ampliarono l'uso di quella nobile figura, cangiandone gli smalti e la posizione a seconda del partito o delle proprie passioni, sicché presto furono viste aquile d' ogni colore e d' ogni foggia figurare nei torneamenti e nelle battaglie. E peggio fù allorché avendo gl'imperatori adottata l'aquila bicipite, ed alcune illustri famiglie essendo riuscite ad ottenerne il privilegio, la prima si moltiplicò grandemente, cessando però d'essere considerata quale concessione imperiale.
E' ben vero che molti conservarono l'aquila semplice quale aveano ottenuta dall'imperatore, ma questi furono pochi ed erroneamente si considera come imperiale la sola aquila bicipite di nero in campo d'oro.
L' aquila variò di significato col variare dei tempi e degli avvenimenti; e primieramente fu segno di imperiale concessione, poi indicò il partito antipapale nella guerra delle investiture, dei Ghibellini nelle strazianti fazioni d'Italia, e degli Imperiali sotto Carlo V. Col volo abbassato, la testa rivoltata di rosso ed afferrante un drago di verde fu emblema politico dei Guelfi per concessione di Clemente IV. Fra i Normanni e loro discendenti era comunissima l'aquila scaccata. Sul declinare del secolo XIII fu l'aquila sveva l'impresa nazionale italiana in opposizione ai gigli di Carlo d' Angiò che rappresentavano il partito straniero. Finalmente essa fu l'arma dell'impero napoleonico, ben diversa da quella dell'impero germanico e dell'impero russo.
Ond'é che nei diversi stati l'aquila é usata con diverso intendimento politico. Gli stemmi tedeschi e italiani la portano por omaggio al Sacro Impero; i Francesi prima per esprimere virtù di grandezza, splendore, ecc., poi per concessione di Bonaparte; gli Spagnuoli per l'austriaca dominazione, gli Americani quale simbolo di libertà, i Russi come sedicenti successori dell'impero Bizantino.
In generale però l'aquila é emblema di nobiltà di natali, forza, potenza, grandezza d'animo, vittoria, valore, prudenza, strategia, gloria, monarchia o dignità ereditaria; e, segnatamente allorché é spiegata, desiderio sublime, elevatezza di pensieri, disprezzo di basse coso, ecc.
L'aquila nera del Sacro Romano Impero é mutata in diversi modi di smalti; tra le infinite varietà di forma e di posizione, a cui ella fu soggetta e, primieramente riguardo alla posizione v'é l'aquila spiegata o dal volo spiegato dal volo abbassato, o chiuso o piegato, affrontata, nascente, sorante, volante, uscente, col capo rivolto, con mezzo volo spiegato, con mezzo volo abbassato, ecc. Rispetto alle altre pezze che l'accompagnano può essere attraversante, attraversata, sostenuta, sormontata, fiancheggiata, addestrata, sinistrata, posata, accantonata, accompagnata, ecc.
Furono create aquile accollate, burellate, caricate, colle ali legate a trifoglio, coronate, di ademate, dismembrate, fasciate, decapitate, imbeccate, membrate, linguate, armate, inquartate, losangate, mostruose, partite, spaccate, trinciate, scettrate, afferranti, collarinate, bicipiti, diffamate, illuminate, riguardanti, ecc.